COVID-19: le misure preventive da adottare sui luoghi di lavoro.
Paolo Mascitelli • 9 marzo 2020
Il datore di lavoro ha la responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione al “rischio biologico”.
Il debito di sicurezza che ogni datore di lavoro ha nei confronti dei propri dipendenti è normato dall'articolo 2087 del codice civile, che recita "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necesarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Dal combinato disposto di detta norma con l'impianto normativo di cui al D.Lgs 81/08 il datore, con la collaborazione del medico competente, ove presente, deve immediatamente adottare misure atte a prevenire per quanto possibile il rischio di contagio da Covid-19.
Quindi:
1) aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) per la presenza di tale nuovo rischio biologico;
2) fornitura dei DPI al personale per assicurare la salubrità degli ambienti di lavoro:
- gel antibatterici;
- guanti;
- mascherine protettive.
3) procedure di sicurezza precauzionali per contenere la diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria, ovvero: lavarsi frequentemente le mani; porre attenzione all’igiene delle superfici; evitare i contatti stretti e protratti con persone che presentano sintomi simil-influenzali; mantenere distanza di almeno un metro tra persona e persona; disciplinare l'accesso ai locali adibiti alle pause di lavoro;
4) cartellonistica esplicativa delle procedure di igiene e di comportamento;
5) procedura per affrontare “casi sospetti”.
Allegato 2. Definizione di caso sospetto per la segnalazione (Ministero della Salute Prot. 2302-27/01/2020).
1. Una persona con infezione respiratoria acuta grave - SARI – (febbre e tosse e che richiede il ricovero in ospedale), senza un'altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica e almeno una delle seguenti condizioni:
a. storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure
b. la malattia si verifica in un operatore sanitario che ha lavorato in un ambiente dove si stanno curando pazienti con infezioni respiratorie acute gravi di origine sconosciuta.
2. Una persona con malattia respiratoria acuta e almeno una delle seguenti condizioni:
a) contatto stretto con un caso probabile o confermato di infezione da CoV nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure
b) ha visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan, provincia di Hubei, Cina nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia; oppure
c) ha lavorato o frequentato una struttura sanitaria nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia dove sono stati ricoverati pazienti con infezioni nosocomiali da 2019-nCoV
In presenza di un “caso sospetto”, nei termini sopra indicati, il datore di lavoro è tenuto a contattare immediatamente i servizi sanitari segnalando che si tratta di caso sospetto per COVID-2019. Nell’attesa dell’arrivo dei sanitari dovrà:
• evitare contatti ravvicinati con la persona malata;
• fornirla di una maschera di tipo chirurgico;
• lavarsi accuratamente le mani.
• Fare attenzione a non contaminare altre aree e quindi sanificare le superfici corporee che sono venute eventualmente in contatto con i fluidi (secrezioni respiratorie, urine, feci) del malato;
• Evitare di toccare i fazzoletti di carta utilizzati dal malato, che dovranno essere dallo stesso inseriti in buste impermeabili da consegnare al personale sanitario per lo smaltimento.
• disporre l’immediata sospensione dell’attività lavorativa per:
- i casi sospetti;
- i lavoratori che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19, cui è disposta dall’azienda sanitaria territorialmente competente la misura della quarantena con sorveglianza attiva;
- i lavoratori che, negli ultimi 14 giorni, abbiano fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato nelle aree della Repubblica Popolare Cinese interessate dall’epidemia.
a) la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, puo' essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro;
b) favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie;
Il trattamento dei dati personali degli interessati al contagio dovrà essere svolto solo ed esclusivamente per la finalità di gestione del rapporto di lavoro e per salvaguardia della salute, senza alcuna diffusione a terzi.

Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.

La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.