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La direttiva europea sul whistleblowing: novità in arrivo per le imprese e gli enti pubblici.

Paolo Mascitelli • 9 dicembre 2019

Pubblicata in Gazzetta la Direttiva UE 07/10/2019 sulla protezione degli autori delle segnalazioni di condotte illecite rispetto alle normative della UE.

Uno studio del 2017 effettuato per conto della Commissione Europea ha stimato che la perdita di benefici potenziali dovuta alla mancanza di tutela degli informatori, solo nel settore degli appalti pubblici, si situa tra i 5,8 e i 9,6 miliardi di euro all'anno per l'UE nel suo complesso. 

Per assicurare tutela agli "informatori" in tutta la UE, superando eventuali differenze tra le varie legislazioni dei singoli Stati,  il 7 ottobre scorso il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato la Direttiva sulla "Protezione degli individui che segnalano violazioni delle norme comunitarie”, prescrivendo agli Stati membri il recepimento delle disposizioni minime ivi contenute entro due anni dalla sua pubblicazione. 

Solo dieci paesi dell'Unione conoscono e regolamentano il whistleblowing e per una volta il nostro paese è tra quelli virtuosi.

In Italia, infatti,  l'istituto del whistleblowing venne introdotto per la prima volta con l'art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190, che appunto introdusse la figura del whistleblower, con particolare riferimento al "dipendente pubblico che segnala illeciti".

A tale normativa ha fatto poi seguito la legge n. 179 del 30 novembre 2017 ("Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato"), che si inserisce nel quadro della normativa in materia di contrasto alla corruzione, disciplinandone un aspetto di fondamentale importanza: la tutela del soggetto che effettua la segnalazione di un illecito (definito, con terminologia anglosassone ormai entrata nell'uso comune, "whistleblower").

Questa legge ha avuto il grande merito sia di assicurare una più efficace tutela del soggetto che segnala l'illecito rispetto alla normativa precedente, che di estendere tale Istituto anche al settore privato, seppure in termini e con modalità differenti.

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro privato, l'art. 2 della legge 179 del 2017 è intervenuta sul D. Lgs. 231/2001, aggiungendo tre nuovi commi all'art. 6 (relativo alle indicazioni sul contenuto dei modelli organizzativi).

Da allora, è ben noto che tutti i modelli organizzativi (MOGC), devono istituire sistemi di whistleblowing efficaci e conformi al dettato normativo che sancisce in particolare: a) specifici canali informativi dedicati alle segnalazioni, di cui almeno uno con modalità informatiche, tali da garantire la riservatezza dell'identità del segnalante; b) l divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante; c)  l'inserimento all'interno del sistema disciplinare del modello organizzativo di sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni poi rivelatesi infondate.

Il destinatario naturale di queste segnalazioni è l'ODV (Organismo di Vigilanza), anche se ciò non viene indicato espressamente nella attuale normativa italiana.

Ebbene in questo contesto, si inserisce la Direttiva Europea 7/10/2019, la cui ratio va ricercata all’interno dei recenti scandali come LuxLeaks, Panama Papers e Football Leaks che hanno contribuito a mettere in luce la grande precarietà di cui soffrono oggi gli informatori ed alla necessità di elevare i sistemi di protezione già adottati dai vari paesi.

La portata innovatrice si estende sia ai soggetti da proteggere, non solo i dipendenti ma i free lance, i professionisti, i tirocinanti etc, che  ai settori interessati, i quali non sono più limitati agli illeciti (così detto reato presupposto) considerati nel decreto legislativo 231/2001.

La direttiva, infatti, comprende tra le materie su cui è possibile segnalare anche quella riguardante il trattamento dati personali,  la salute pubblica, la protezione ambientale, la tutela del consumatore, i servizi finanziari, la sicurezza nucleare. 

Dal punto di vista procedurale, per garantire la sicurezza dei potenziali informatori e la riservatezza delle informazioni divulgate, le nuove norme consentiranno di comunicare le segnalazioni sia all’interno dell'ente interessato (come un’azienda), che direttamente alle autorità nazionali competenti, nonché agli organi e le agenzie competenti dell'UE. Pertanto, tali canali di comunicazione dovranno essere obbligatoriamente creati sia dalle aziende che dalle stesse autorità nazionali.

Nei casi in cui non siano state adottate delle misure adeguate in risposta alla segnalazione iniziale di un whistleblower, o qualora si ritenga che vi sia un pericolo imminente per l'interesse pubblico o un rischio di ritorsione, l’informatore sarà comunque protetto in caso decidesse di divulgare pubblicamente le informazioni, senza passare attraverso questi canali.

Viene inoltre fissato in tre mesi il termine per dare un seguito concreto alla segnalazione effettuata dal segnalatore di illeciti.

Infine dal punto di vista delle tutele per il segnalante, la direttiva aggiunge alcuni strumenti protettivi che dovranno essere impostri alle imprese, tra cui la riassunzione provvisoria, l'accesso gratuito a informazioni per la tutela, l'assistenza legale e finanziaria.

A beneficio del segnalante, inoltre, gli Stati dovranno introdurre esimenti della responsabilità per i reati di diffamazione, violazione del copyright o del segreto, anche industriale, tutela dei dati personali, escludendo poi anche la responsabilità civile.

In termini estremamente sintetici, queste le prime misure che è consigliabile attuare soprattutto da parte delle aziende che già hanno adottato un Modello 231.

a) creazione di canali sicuri per effettuare le segnalazioni e di una loro gerarchia tra interni ed esterni.
b) estensione della protezione anche a soggetti non dipendenti (funzionari pubblici a livello nazionale/locale, volontari e tirocinanti, membri senza incarichi esecutivi, azionisti);
c) implementazione delle misure di sostegno e protezione degli informatori da possibili ritorsioni, anche a beneficio di coloro che assistono lo whistleblower, come colleghi e parenti;
d) obbligo di riscontro entro entro 3 mesi, prorogabili di altri 3 mesi per giustificato motivo.

Avv. Paolo Mascitelli

Riproduzione riservata

Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
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Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
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