Legittimo il licenziamento disciplinare per scarsa diligenza del lavoratore controllato da un ispettore d’azienda.

Paolo Mascitelli • 15 ottobre 2020

La Corte con sent. 21888/2020 ha dichiarato legittimo il comportamento del datore di lavoro che spiava per mezzo di un controllo gerarchico il dipendente sospettato  di comportamento negligente 

Il caso
Una azienda intimava il licenziamento disciplinare di un proprio dipendente con mansione di portalettere, per scarsa diligenza e una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento della sua attività.
Ritenendo il licenziamento illegittimo, il dipendente impugnava il provvedimento di recesso dinnanzi al Tribunale di Roma; i giudici di primo grado non accoglievano il ricorso e riconoscevano una proporzionalità ai fatti della sanzione applicata.
La Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo confermando la decisione dei giudici di primo grado ed evidenziando la mancata diligenza del lavoratore dimostrata dal pervicace ritardo nella esecuzione della prestazione, causa di ingenti disservizi.

Il ricorso per Cassazione del lavoratore si motiva, sinteticamente, sull'accusa di due violazioni di legittimità riguardanti il caso in esame: 
  • violazione e falsa applicazione dell’art 3 e 4 dello statuito del lavoratori;
  • violazione e falsa applicazione dell’art 4 del D.Lgs 151 /2015;

ART 3 STATUTO DEL LAVORATORI
E' ben noto che per "Statuto dei Lavoratori" si intende la Legge 20 maggio 1970 n. 300, che reca “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che, parzialmente modificato e integrato nel corso di questi decenni, ancora oggi costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali. 
Le forme e i limiti del potere di controllo del datore di lavoro disciplinati dagli artt. 1 (libertà di manifestazione del pensiero) , 2 e 3 (controllo sul patrimonio aziendale e sull'attività del lavoratore), 4 (tutela della privacy e limiti al potere di controllo datoriale da remoto) 5 e 6 ( controlli sullo stato di malattia e le perquisizioni sulla persona del lavoratore),  8 (divieto di indagini sulle opinioni). 
L'articolo 3 dello Statuto, da un lato implica il riconoscimento del potere datoriale di esercitare i necessari poteri di controllo e vigilanza a tutela del patrimonio aziendale, ma stabilisce l'obbligo di pubblicità del personale addetto alla vigilanza, al fine di evitare che tale controllo sfoci nel controllo occulto sulle prestazioni del lavoratore, 
Il personale preposto alla vigilanza deve essere posto a conoscenza dei lavoratori:  “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.

ART 4 STATUTO DEI LAVORATORI 
L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato riformato dal “Jobs Act” che ha introdotto importanti modifiche rispetto alla possibilità del datore di lavoro di operare un controllo  sull’attività lavorativa svolta dai propri dipendenti.
Prima della riforma del 2015 vigeva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Tale divieto veniva meno solo nei casi in cui il datore di lavoro, per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, intendesse installare nuove apparecchiature dalle quali potesse derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti: in tal caso, era necessario il previo accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, l’autorizzazione delle articolazioni locali del Ministero del Lavoro territorialmente competenti.
La riforma ha radicalmente ribaltato la prospettiva, passando da una formulazione precettiva inibitoria, ad una facoltizzante rispetto a  tale potere, sempre riferito l’impiego di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (ad esempio, gli impianti di videosorveglianza); tale potere quindi è ben consentito ma a patto che si faccia precedere da un accordo sindacale circa le modalità di utilizzo di tali apparecchiature; in assenza di tale accordo, il datore di lavoro deve ottenere la previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o del Ministero del Lavoro.
Ma se in tale prima parte della norma si è trattato di un cambio di prospettiva, pur in assenza di modifiche sostanziali, l'introduzione del secondo coma ha comportato una svolta epocale nel sistema giuslavoristico italiano, in quanto con tale norma, si legittima l’esercizio di un controllo a distanza (c.d. controllo diretto) effettuato sugli strumenti utilizzati e necessari per eseguire le mansioni da parte del lavoratore e sugli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze (c.d. lettori badge). In questo caso, infatti, non c’è l’obbligo per il datore di lavoro di raggiungere una intesa sindacale o di ottenere l’autorizzazione ministeriale: il controllo è libero e può essere effettuato anche senza un’esigenza organizzativa o produttiva. In assenza di qualsiasi funzione di “filtro” attribuita alle organizzazioni sindacali o alla vigilanza del Ministero del Lavoro per mezzo della Direzione Territoriale del Lavoro, è il singolo lavoratore che dovrà verificare se il controllo è esercitato dall’imprenditore in modo legittimo ed eventualmente recarsi presso un sindacato o un legale per tutelare i propri diritti.
Le condizioni poste dalla norma al riguardo di tale potere ci controllo sono che:
  •     i lavoratori siano informati adeguatamente circa le modalità con le quali devono essere utilizzati gli strumenti concessi in dotazione e le modalità con le quali verrà esercitato il controllo;
  •     sia sempre rispettata la normativa in materia di privacy (Reg Ue 679/2026 e Codice Privacy n. 196/2003, così come modificato dal D.Lgs 101/2018).
L’inosservanza di anche solo una delle due condizioni indicate, rende illegittimo l’utilizzo delle informazioni ai fini, ad esempio, di un procedimento disciplinare e, quindi, anche di un licenziamento. 

La decisione della Corte
Nel caso in esame la Corte ha ritenuto legittimo l'operato dell'impresa e quindi che non vi fossero elementi per cui potesse configurarsi una violazione degli articoli  3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, in ragione del fatto che il controllo realizzato si configura alla stregua di un controllo gerarchico realizzato da risorse interne all'impresa incaricate dal datore, senza che sia stato leso il principio di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto.
Secondo gli Ermellini è legittimo il controllo sul lavoratore avvenuto mediante l'organizzazione gerarchica della società: l'ispettore risulta essere titolato ad accertare mancanze specifiche del lavoratore ex art 2086 e 2014.
Si conferma e sottolinea il principio secondo cui  dipendenti devono essere avvisati circa i nomi e le mansioni del personale addetto a vigilare sull'attività lavorativa, ma proprio per la particolare posizione di chi effettua i controlli deve ritenersi che le attività possono essere compiute di nascosto ai diretti interessati: la modalità occulta si giustifica senza che siano minati i principi di buona fede e correttezza, nei casi in cui la pregressa condotta non risulti essere palesemente inadempiente da parte dei dipendenti.
per ciò che concerne l'ipotesi di violazione dell'art. 4 dello statuto i giudici di legittimità ritengono che la tipologia di controlli effettuata dal datore nel caso in esame, non possa essere configurata quale "controllo diretto", riferibile esclusivamente all'uso di apparecchiature per controllo a distanza: il fatto esula dal divieto di cui all'art 4 l.300/70.

Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
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C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
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Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Autore: Paolo Mascitelli 3 marzo 2021
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.
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