Lo scarso rendimento dello Smart Worker
Paolo Mascitelli • 31 marzo 2020
Come gestire il rischio di improduttività?
L’emergenza del Covid_19 ha costretto il Governo a semplificare notevolmente la procedura per attivare lo smart-working da parte delle aziende italiane, ritenendo tale strumento di lavoro necessario a tutelare i rischi dei lavoratori e la salute pubblica e diminuendo quindi le occasioni di spostamento da casa delle persone.
Con DPCM del 1° marzo 2020, il governo italiano è intervenuto sulle modalità di accesso allo smart working, confermate dal Decreto 4 marzo 2020, prevedendo una versione “semplificata” dello smart working, estesa per l’intera durata dello stato di emergenza, ad ogni tipo di lavoro subordinato su tutto il territorio nazionale, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla relativa normativa, al fine di evitare gli spostamenti e contenere i contagi.
L’istituto del “lavoro agile” (al posto del vecchio telelavoro) è stato per la prima volta introdotto dalla Legge n. 81 del 2017 contenente le “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, che ha fissato alcune regole fondamentali sulle modalità e sugli ambiti di applicazione di tale tipologia di lavoro, caratterizzata da flessibilità organizzativa, dalla volontarietà delle parti che sottoscrivono un accordo individuale, nonché dall'utilizzo degli strumenti tecnologici (laptop, tablet etc..) che permettono al lavoratore di operare da remoto. Proprio tramite l’accordo tra le parti è possibile organizzare il lavoro per fasi, cicli ed obiettivi, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro e con riconoscimento del discusso “diritto alla disconnessione”.
L’emergenza sanitaria e l’assenza di un accordo individuale
Per fronteggiare l’emergenza sanitaria e dunque adottare tutte le misure necessarie al contenimento del contagio, è stato introdotta la modalità di lavoro agile senza però perfezionarne le modalità e in assenza di fatto, di un accordo individuale. E’ pertanto ragionevole aspettarsi che ben presto si presenteranno problematiche relative all’esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte datoriale, con un’attenzione particolare a quello che sicuramente è lo snodo fondamentale che può giungere a legittimare o meno la risoluzione del rapporto di lavoro per “scarso rendimento”.
Il dibattito sul lavoro agile, locuzione poco felice dato che sembra riferirsi al lavoro aziendale come se esso fosse disagevole, presenta numerose criticità e suscita dibattiti tra i giuristi, alcuni dei quali vedono in esso una modalità di lavoro legata più al risultato che al mezzo, con una pericolosa contiguità rispetto al lavoro autonomo.
Il dibattito sul lavoro agile anche da parte dei giuristi ha permesso di far emergere quanto fosse fondamentale regolamentare l’organizzazione e l’estrinsecazione del lavoro attraverso una dettagliata policy, per consentire alle parti di poter conoscere ciò che si attendono l’una dall’altra e ciò che potrà o meno far scaturire una contestazione disciplinare per scarso rendimento o per qualsiasi altra violazione o negligenza.
Se le problematiche dello smart working residuavano anche in presenza di accordi e regolamenti aziendali ben costruiti, si pensi all’orario di lavoro, agli straordinari, alle fasce di disconnessione, alla misurazione delle performance e della diligenza nello svolgimento delle mansioni, figuriamoci oggi cosa può accadere ai rapporti instaurati in assenza di tali accordi.
Come valutare la diligenza della prestazione lavorativa in assenza di un accordo di lavoro individuale? In base al tempo di connessione, alla reperibilità, alle pratiche lavorate, alle mail inviate, agli orari delle mail inviate, ai tempi di feedback rispetto agli input datoriali e direttivi?Un dipendente che invia numerose email durante la notte avrà diritto alle ferie?Per quanto sia uno strumento necessario e fortemente raccomandato è innegabile che presto le aziende si troveranno a fare i conti con il dover erogare stipendi a fronte di prestazioni lavorative
inadeguate e senza sapere quali misure disciplinari poter legittimamente adottare.
La prestazione di lavoro e gli strumenti di controllo a distanza
Il fondamento del potere disciplinare del datore risiede nell’articolo 2106 del Codice civile, che impone al lavoratore di usare la diligenza necessaria connessa alla natura della prestazione di lavoro. Dunque il datore potrà svolgere le necessarie verifiche sul corretto svolgimento della prestazione a distanza del dipendente, effettuando gli opportuni controlli nel rispetto dei limiti fissati dagli accodi tra le parti e della normativa in materia, rispettando quanto statuito dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Rispetto agli strumenti di lavoro ed ai dati necessari per lo svolgimento della prestazione lavorativa, com’è noto, sono leciti i controlli a distanza purchè siano adottati criteri di gradualità e previa informativa al lavoratore mentre per eventuali strumenti dedicati al controllo, sarà necessario l’accordo sindacale.
Dunque, se lo strumento di controllo a distanza è stato installato, il datore di lavoro potrà utilizzarlo solo se avrà preventivamente informato il lavoratore agile, della possibilità di eseguire controlli sulla prestazione lavorativa di quest’ultimo.
A tal riguardo, il cosiddetto Jobs Act (D.lgs. n. 151/2015, articolo 23), ha espressamente previsto: “i dati e le informazioni ottenuti tramite gli strumenti di controllo a distanza sono utilizzabili ai fini del rapporto di lavoro solo a condizione che sia stata data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’ uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196′′. Se il lavoratore non è stato informato adeguatamente sull’uso dei dispositivi di controllo e sulle modalità di effettuazione dei controlli, i dati raccolti non potranno essere usati dal datore di lavoro per alcuna finalità, neanche sanzionatoria.
La giurisprudenza sul licenziamento per “scarso rendimento” come prova di inadempimento
Il tribunale di Milano, sez lav., 19/09/2015, in tema di licenziamento per scarso rendimento, ha affermato che al datore di lavoro spetta l’onere della prova di una notevole inadempienza del lavoratore, la quale non potrà riguardare il mero mancato raggiungimento del risultato o l’oggettiva esigibilità, ma dovrà dimostrare piuttosto che la causa di esso derivi da negligenza nell’espletamento della prestazione lavorativa, come anche specificato dalla Corte d’Appello de L’Aquila, sez. lav., 18/06/2015, n.718.
La scarsa produttività del lavoratore, potrà essere comparata, secondo la Cass. Civile sez. lav., 09/07/2015, n.14310, a quella dei colleghi: tale modalità potrà giustificare il licenziamento per cd. “scarso rendimento” quale ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore.
Anche il Tribunale di Pisa sez lav., 05/06/2017, è entrato nel merito, specificando che per “notevole inadempienza”, si intende, sulla base della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente in conseguenza della enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzatori nel periodo di riferimento, tenuto contro della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.
Alla luce delle varie posizioni intraprese dalla giurisprudenza nel corso degli anni sulla base di un rapporto di lavoro definito e puntuale, ci chiediamo spontaneamente come verranno valutate successivamente alle nuove modalità di lavoro intraprese, le controversie relative alla legittimità di licenziamento per scarso rendimento e se saranno destinate ad un insussistenza del fatto contestato in ragione di un’incompatibilità probatoria.
Il rendimento dello smart worker
Come sopra è stato già ricordato, il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un’apprezzabile periodo di tempo.
Rispetto ad un “lavoratore agile”, in assenza di una policy che determini con esattezza il progetto, il ciclo di lavoro quotidiano, le aspettative datoriali per poter considerare adeguata la prestazione di lavoro, come potrà esprimersi il potere direttivo e sanzionatorio datoriale?
Poniamo che un dipendente decida di disconnettersi per due ore salvo poi inviare mail a notte fonda, quale rilevanza potrà avere la durata della disconnessione oppure deve ritenersi che il diritto alla disconnessione sia parificabile alla pausa di lavoro e che l’orario di connessione sia parificato all’orario di lavoro?
Lo stato di connessione/disconnessione è sufficiente quale parametro per la valutazione del rendimento o per attivare il potere sanzionatorio disciplinare?
Il paradosso del lavoro agile
Il fatto stesso che il “lavoro agile” sia svincolato da orari e luogo di lavoro, rende ben difficile che si possa giungere a contestare al lavoratore uno scarso rendimento quantitativo rispetto alla prestazione, ma così facendo si torna ad un avvicinamento all’obbligazione di risultato e non di mezzo, che invece è la tipica connotazione del rapporto di lavoro subordinato.
Ecco quindi che, sebbene l’emergenza abbia esentato le imprese dal redigere accordi individuali, solo le organizzazioni che sapranno rapidamente reintrodurli potranno legittimamente esprimere una concreta azione direttiva e di controllo sulle prestazioni lavorative degli smart worker. Solo attraverso questo strumento il datore potrà offrire al Giudice una completa visione dell'organizzazione del lavoro, del ciclo produttivo e dei parametri su cui lo stesso lavoratore potrà conformare la propria diligenza.
Al contrario, in assenza di regole, sarà ben difficile dimostrare dinanzi al Giudice investito della domanda di annullamento della sanzione, il rispetto dei requisiti di proporzionalità e di adeguatezza della misura disciplinare datoriale in danno al lavoratore negligente, mancando un parametro di riferimento qualitativo e quantitativo su cui poter fare concreto affidamento.

Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.

La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.