Affidamento del figlio a weekend alterni per i genitori che vivono lontani

Paolo Mascitelli • 25 settembre 2020

Affidamento condiviso e principio della bigenitorialità ponderato da esigenze di vita sociale e di studio del minore

Il caso
Un padre ricorreva in cassazione con l’intento di rideterminare le disposizioni già adottate in sede di affidamento condiviso dal giudice di primo grado circa i tempi e i modi inerenti la presenza del figlio presso la propria abitazione, confermata ulteriormente in secondo grado dalla Corte d’Appello di Genova.
La controversia nasce in relazione al fatto che le abitazioni dei genitori non si trovano vicine per cui il continuo e ripetuto spostamento del figlio avrebbe comportato una consistente perdita di tempo e una disorganizzata gestione degli impegni sacrificando in tal modo il riposo, lo studio e la vita sociale del minore.

Il tema della bigenitorialità 
L'istituto dell'affidamento condiviso è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 54 del 2006 al fine di dettare nuove regole per l'esercizio di quella che oggi viene definita la responsabilità genitoriale introducendo nel nostro ordinamento il cd. "principio della bigenitorialità".
L'affidamento condiviso è la regola che disciplina l'affidamento dei figli a seguito della cessazione della relazione affettiva e quindi della convivenza tra i genitori, ovviamente salvo eccezioni derivanti da casi particolari.
La principale novità introdotta dalla legge n. 54/2006 è quindi il completo ribaltamento del rapporto regola/eccezione in materia di affidamento: l'affido prima definito "congiunto", da mera opzione, peraltro scarsamente adottata in concreto, è divenuta la regola, al punto che è oggi necessaria una specifica motivazione, da riportare nel provvedimento giurisdizionale, per stabilire l'affidamento esclusivo.
Secondo recenti orientamenti giurisprudenziali, la regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo.
Ciò che emerge anche da precedenti sentenze circa il tema della bigenitorialità è che, nel supremo interesse del minore, la permanenza presso i genitori che non condividono più la stessa abitazione, non deve essere ripartita in modo simmetrico, ma valutata concretamente e in maniera ponderata dal giudice per garantire la situazione più consona in favore del benessere e dell’armonia del figlio.

La decisione della Corte
In ossequio a tale principi legislativi e giurisprudenziali, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso del padre considerando inopportuno il ridimensionamento dei giorni di permanenza e del tempo a lui dedicato da parte del figlio in ragione di dover evitare spostamenti che compromettono lo sviluppo del bambino, confermando inoltre il meantenimento, non valutabile come oggetto di revisione, in quanto le esigenze del minore aumentano in proporzione alla prpria crescita, per cui il padre è tenuto, seppur distante ad assecondare le esigenze che garantiscono declinazioni di integrazione sociale per il figlio.
La Corte concorda sul fatto che il minore dovrà trascorrere i fine settimana alternandosi tra madre collocataria e padre non convivente.

Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
Autore: PAOLO MASCITELLI 21 dicembre 2022
C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
Autore: Paolo Mascitelli 17 novembre 2022
Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Autore: Paolo Mascitelli 3 marzo 2021
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.
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