Assegno divorzile: il giudice ha l'onere di rivalutare i rapporti economici che determinano l'ammontare dell'assegno divorzile quando sussiste un concreto mutamento delle condizioni economiche
Paolo Mascitelli • 25 marzo 2020
La Cassazione, con ordinanza n°6750/2020 conferma l’onere da parte del giudice di riconsiderare i rapporti economici in seno all’assegno divorzile anche tenendo conto dei mutamenti delle condizioni economiche e reddituali delle parti nelle more del giudizio di merito.
Il Caso
Un uomo divorziato, obbligato a versare 350,00 euro mensili alla ex coniuge per il mantenimento della figlia minore, adiva il Tribunale di Catania per la modifica della predetta misura economica, essendo mutate le condizioni economiche e sociali di entrambe le parti. L'uomo infatti dopo il divorzio aveva costituito un nuovo nucleo familiare, con due figli nati da questa relazione, la ex moglie invece aveva raggiunto una migliore condizione reddituale, essendo stata assunta a tempo indeterminato, con stipendio medio mensile di euro 1.400,00, come insegnante di ruolo.
L’intervento della suprema corte ha sancito, nel caso sottoposto in esame, il fatto che la Corte distrettuale abbia propriamente valutato e bilanciato gli interessi degli ex coniugi, nonchè il nuovo assetto reddituale degli stessi, così come evolutosi anche durante il processo, ragion per cui era da considerarsi corretta la decisione di far decorrere la nuova misura economica con effetto non retroattivo e quindi rigettava il ricorso.
La decisione è corretta e da essa si possono estrapolare spunti giuridici interessanti.
Entrambi i genitori hanno il dovere di “mantenere, istruire ed educare i figli”, così come è sancito da norme di rango costituzionale (art. 30), e dalle norme del codice civile dirette a tutelare la prole dalle conseguenze negative e pregiudizievoli delle crisi familiari.
A norma del nuovo articolo 337-ter c.c. (introdotto dal d.lgs. n. 154/2013), tanto nell’adozione dell’affido condiviso quanto di quello esclusivo, è il giudice a fissare “la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”, sulla base del principio di proporzionalità e considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
La Legge sul Divorzio
Alla luce di delle premesse siffatte che ci permettono di inquadrare meglio la disciplina, è necessario sottolineare che i presupposti per richiedere la modificazione delle condizioni di divorzio variano a seconda dei casi.
In breve, secondo la Legge sul Divorzio (L. n°898/70, aggiornato da ultimo D.Lgs n°21/2018) tali ragioni si configurano in uno o più “giustificati motivi sopraggiunti” intesi come fatti sopravvenuti e modificativi della situazione economica precedentemente valutata e in relazione alla quale era stato commisurato il contributo coniugale.
Quali sono i requisiti per una legittima domanda di revisione dell'assegno di mantenimento?
Il presupposto necessario sulla quale verte la possibilità di rendere modificabile una decisione dapprima intervenuta tra le parti, consiste nella circostanza tale per cui si siano verificati fatti nuovi rispetto a quelli emersi sui quali si è valutata la situazione che ha adito alla sentenza emessa. A tal proposito portiamo in esempio il fatto che:
- il coniuge beneficiario del mantenimento inizi una stabile e duratura convivenza con un altro partner, avviando una famiglia di fatto;
- il coniuge beneficiario del mantenimento ottenga un aumento della retribuzione o aumenti i suoi guadagni o inizi un’adeguata attività lavorativa;
- il coniuge tenuto al pagamento del mantenimento abbia una nuova famiglia con nuovi figli;
- il coniuge tenuto al mantenimento subisca una invalidità o una consistente riduzione dello stipendio;
- il coniuge tenuto al mantenimento perda il lavoro.
Alla luce di un mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi, il giudice deve accertare gli elementi di fatto ai fini del giudizio di revisione, da rendersi poi al lume del diritto vivente.

Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.

La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.