Assegno di mantenimento: in caso di necessità i nonni contribuiscono al mantenimento del nipote

Paolo Mascitelli • 17 luglio 2020

Cassazione: l’ordinanza numero 14951/2020 legittima la possibilità di porre a carico dei nonni una parte di assegno di mantenimento del nipote nel caso in cui i genitori non siano in grado autonomamente di coprire le spese.

Il caso
La vicenda che approda al giudizio della Cassazione riguarda l'ascendente paterno di un minore disabile, condannato dalla Corte d’Appello di Perugia a versare 130,00 euro alla madre di quest'ultimo, quale contributo al di lui mantenimento in quanto malato e bisognoso di terapie riabilitative il cui costo non riesce ad essere sostenuto dai genitori. 
La madre, infatti, pur riscuotendo uno stipendio di 1.100 euro e convivendo presso i propri genitori, non era in grado di soddisfare le esigenze sanitarie del figlio mentre il padre risultava essere inadempiente rispetto al predetto obbligo a sostegno del figlio, lasciando dunque le spese occorrenti completamente a carico della madre.

Il concorso nel mantenimento 
L’art 316 bis del codice penale ribadisce l’importanza del ruolo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli nel pieno rispetto delle responsabilità genitoriali che di comune accordo esercitano.
Il legislatore specifica inoltre che “quando i genitori non hanno mezzi sufficienti per la custodia, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”. 
L'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari,  al fine di adempiere i loro doveri nei confronti dei propri figli, è soltanto subordinato e sussidiario rispetto a quello primario dei genitori, non essendo appunto consentito rivolgersi agli ascendenti di pari grado, per mera inadempienza verificatasi da parte del padre o della madre.
L’art 148 cc infatti specifica il fatto che spetta primariamente e integralmente ai genitori l’onere di soddisfare le esigenze economiche del figlio anche quando uno dei due non possa o non voglia adempiere ai propri doveri: è compito dell’altro, nel solo interesse della prole, di dover far fronte per intero alle esigenze economiche con tutto il suo patrimonio e sfruttando tutta la sua capacità lavoro. 
La condizione necessaria affichè sia possibile richiedere un contributo da parte degli ascendenti si concretizza quindi non solo nella inadempienza da parte di uno dei genitori ma in egual modo nell’impossibilità dell’altro genitore di mantenere autonomamente la prole.

La decisione della Corte
La Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi del ricorso proposto dal nonno,  confermando la decisione dei giudici di primo e secondo grado. Gli Ermellini valutando la situazione economica della madre, hanno ritenuto insufficiente le disponibilità della donna per fronteggiare le esigenze del minore, al fronte della malattia e della necessità di terapie riabilitative cui il ragazzo deve sottoporsi, pur comunque tenendo conto del contributo economico dei nonni materni con i quali la donna e il figlio abitano. La Corte nel giudizio di merito ha inoltre valutato il fatto che la madre ha documentato l'impossibilità di riscuotere il mantenimento da parte del padre che non ha mai versato alcun assegno per il contributo al mantenimento del figlio motivo, ragion per cui tali accertamenti non possono essere confutati. 
Secondo la Corte il contributo economico da parte dei nonni paterni risulta essere necessario ai fini di un'adeguata sussistenza da garantire al nipote, date le condizioni sopracitate.

Scarica ordinanza 14951/2020 Cassazione
Autore: Paolo Mascitelli 5 maggio 2025
Introduzione La Direttiva NIS 2, adottata dall'Unione Europea, rappresenta un importante passo avanti nella sicurezza informatica, ampliando il campo di applicazione della precedente direttiva NIS. In questo articolo, esploreremo i dettagli chiave della NIS 2, inclusi i dati rilevanti, le scadenze importanti e gli adempimenti necessari per garantire la conformità. Cos'è la NIS 2? La NIS 2 (Direttiva 2022/2555) è una normativa europea che mira a rafforzare la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi in tutta l'Unione Europea. La direttiva si applica a vari settori, inclusi i servizi essenziali e quelli digitali, e introduce requisiti più rigorosi per la gestione dei rischi legati alla sicurezza informatica.Ambito di Applicazione La NIS 2 si applica a: Entità di servizi essenziali: settori come energia, trasporti, salute, acqua potabile e infrastrutture digitali. Entità di servizi digitali: fornitori di servizi di cloud, motori di ricerca e piattaforme di social media. Piccole e medie imprese: in alcuni casi, anche le PMI possono rientrare nel campo di applicazione se forniscono servizi critici. Scadenze Importanti Le principali scadenze NIS 2 riguardano la registrazione sulla piattaforma ACN (entrate in vigore il 28 febbraio 2025), la trasmissione delle informazioni sui soggetti NIS (entro il 31 maggio 2025) e la piena implementazione delle misure di sicurezza entro ottobre 2026. Queste scadenze sono fondamentali per garantire che le aziende si adeguino ai nuovi requisiti della NIS 2, che mira a migliorare la sicurezza informatica e la resilienza cyber in tutta l'UE. Adempimenti principali a) Valutazione dei Rischi : Le organizzazioni devono condurre valutazioni dei rischi per identificare e mitigare le vulnerabilità nei propri sistemi. b) Piani di Risposta agli Incidente : È obbligatorio sviluppare e mantenere piani di risposta efficaci per gestire gli incidenti di sicurezza informatica. c) Segnalazione degli Incidenti : Le entità devono notificare gli incidenti significativi alle autorità competenti entro 24 ore dalla loro scoperta. d) Formazione e Consapevolezza : È fondamentale formare il personale sulla sicurezza informatica per garantire una cultura di sicurezza all'interno dell'organizzazione. Conclusione La NIS 2 rappresenta una sfida significativa ma necessaria per le organizzazioni che operano in settori critici. Essere proattivi nella comprensione e nell'attuazione dei requisiti della NIS 2 non solo garantisce la conformità, ma contribuisce anche a un ambiente digitale più sicuro per tutti. Preparati, quindi, a intraprendere questo percorso per proteggere le tue risorse e garantire la continuità operativa.Concludendo, è essenziale rimanere aggiornati sulle evoluzioni normative e progettare strategie efficaci per affrontare le sfide della sicurezza informatica. 
Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
Autore: PAOLO MASCITELLI 21 dicembre 2022
C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
Autore: Paolo Mascitelli 17 novembre 2022
Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Show More